Dal 13 settembre, in tutti gli store è disponibile il nuovo capolavoro di Valentina D’Urbano, Isola di Neve. Un’isola nel Mar Tirreno e la sua gemella inospitale fanno da sfondo a due storie che si intrecciano tra passato e presente, con una protagonista indimenticabile.
Titolo: Isola di neve
Titolo: Isola di neve
Autore: Valentina D'Urbano
Editore: Longanesi
Genere: Narrativa
Link d'acquisto: Amazon
TRAMA
Un'isola che sa proteggere. Ma anche ferire. Un amore indimenticabile sepolto dal tempo. 2004. A ventotto anni, Manuel si sente già al capolinea: un errore imperdonabile ha distrutto la sua vita e ricominciare sembra impossibile. L'unico suo rifugio è Novembre, l'isola dove abitavano i suoi nonni. Sperduta nel mar Tirreno insieme alla sua gemella, Santa Brigida - l'isoletta del vecchio carcere, abbandonato -, Novembre sembra il posto perfetto per stare da solo. Ma i suoi piani vengono sconvolti da Edith, una giovane tedesca stravagante, giunta sull'isola per risolvere un mistero vecchio di cinquant'anni: la storia di Andreas von Berger - violinista dal talento straordinario e ultimo detenuto del carcere di Santa Brigida - e della donna che, secondo Edith, ha nascosto il suo inestimabile violino. L'unico indizio che Edith e Manuel hanno è il nome di quella donna: Tempesta. 1952. A soli diciassette anni, Neve sa già cosa le riserva il futuro: una vita aspra e miserabile sull'isola di Novembre. Figlia di un padre violento e nullafacente, Neve è l'unica in grado di provvedere alla sua famiglia. Tutto cambia quando, un giorno, nel carcere di Santa Brigida viene trasferito uno straniero. La sua cella si affaccia su una piccola spiaggia bianca e isolata su cui è proibito attraccare. È proprio lì che sbarca Neve, spinta da una curiosità divorante. Andreas è il contrario di come lo ha immaginato. È bellissimo, colto e gentile come nessun uomo dell'isola sarà mai, e conosce il mondo al di là del mare, quel mondo dove Neve non è mai stata. Separati dalle sbarre della cella, i due iniziano a conoscersi, ma fanno un patto: Neve non gli dirà mai il suo vero nome. Sarà lui a sceglierne uno per lei.
RECENSIONE
Se ami davvero qualcosa, la ami a tal punto da farti del male.
Avete mai provato una sorta di timore reverenziale nel raccontare di qualcosa che vi è piaciuto immensamente, al punto da toccarvi nel profondo di voi stessi? Un timore che deriva dalla supposta incapacità di far arrivare al destinatario tutto quello che avete in mente, ma che forse solo in mente non è. Libri come Isola di Neve, infatti, non si fermano semplicemente al livello di un pensiero positivo: scavano nella carne, raggiungono le ossa, si insinuano in esse. Li senti quando cammini, quando respiri, quando mangi, quando ridi, quando piangi, quando sogni. È uno di quei libri che ti accompagnerà per tutta la vita, che guarderai con nostalgia quando ne sfiorerai il dorso sullo scaffale della libreria, che riprenderai in mano fra qualche anno per rileggerlo, con l’amarezza di non poterlo assaporare come la prima volta da un lato, ma con la consapevolezza di poterti concentrare su nuove sfumature, che le emozioni provate in passato avevano fatto passare in secondo piano, dall’altro.
Una storia immensa, che si svolge su più piani temporali, tra il presente e un passato vecchio di cinquant’anni, ma non ancora sopito.
Novembre è un’isola cruda e graffiante, come gli abitanti che la popolano da sempre: sperduta nel Mar Tirreno, è bersagliata dai turisti in estate e lasciata a se stessa in inverno, tra le raffiche di vento che non perdonano e un freddo umido che ti trapassa le ossa. Eterno specchio di Santa Brigida, un’isola ancora più piccola e inospitale, con la carcassa sinistra di un carcere da cui sembra ancora di sentire le voci delle anime che ha tenuto fra i suoi artigli, Novembre è il posto in cui si rifugia Manuel, ventottenne con un passato difficile, segnato da un momento che ha cambiato la sua vita e la percezione che aveva di sé come una brava persona, per sempre. L’isola figurava nei suoi ricordi di bambino, quando passava l’estate dai nonni Libero e Livia, nella loro vecchia casa piena di spifferi: proprio grazie a questo, gli sembra il posto ideale dove rifugiarsi, riflettere, prendersi del tempo lontano da tutto e da tutti. L’idillio dura ben poco però, perché prima di quanto avrebbe voluto la sua quiete apparente viene stravolta da una ragazza tedesca alla ricerca di un passato che ancora aleggia tra Novembre e Santa Brigida.
Edith sbarca sull’isola con un obiettivo ben chiaro in mente: cercare il tassello mancante della vita del famoso compositore, suo conterraneo, Andreas von Berger, ultimo prigioniero del carcere di Santa Brigida. Ha solo un nome con sé, Tempesta, la donna che deve a tutti i costi aver nascosto sull’isola un tesoro inestimabile, il violino del compositore.
Manuel non riesce a credere ai suoi occhi: come ha fatto a lasciarsi incastrare in una ricerca senza speranza da una ragazza stramba e chiacchierona? Edith è quanto di più lontano possa esistere dal suo ideale di donna, o almeno così credeva: una testa piena di dreads arruffati, un abbigliamento sciatto, un viso brutto, poi bello, poi taciturno, poi solare. Una ragazza che gli sconvolge l’esistenza.
C’era qualcosa nella sua espressione che lui non riusciva a decifrare. Era quello che lo tormentava. Una personalità stramba ma ordinata, trasparente come certe melodie che sullo spartito hanno un ordine preciso, un’armonia strutturata e che invece alla fine si rivelano complicate da domare, non obbediscono, si impennano sulle corde, fanno tremare l’archetto e fanno come vogliono loro.
Cinquant’anni prima, stessa isola. Neve non è il suo vero nome, ma da quando ha memoria tutti l’hanno sempre chiamata così. È una ragazza di diciassette anni che ne dimostra molti meno, una bionda in un ammasso di isolani tutti scuri, pelle e ossa ma con una scorza durissima.
Nessuno l’ha mai capita, le sue giornate trascorrono sempre uguali, quell’isola la inghiottirà viva e persino le ossa che rigetterà fuori rimarranno incastrate lì, senza mai raggiungere il continente che tanto brama di vedere. Suo padre è una bestia che beve e la picchia, sua madre è succube di un’esistenza a cui è fedele perché è l’unica che conoscerà mai, le sue sorelle, l’una fredda e invidiosa, l’altra complice ma timorosa, non sanno come prenderla. Neve è l’unica in grado di mandare avanti la famiglia, l’unica fra tante femmine indesiderate ad aver appreso il mestiere del padre, l’unica che si sveglia all’alba tutti i giorni per andare in mare, sperando in una buona pesca che garantisca a tutti un pasto caldo.
Proprio durante una di queste mattine, scorge il nuovo prigioniero che sarà condotto al carcere di Santa Brigida, di cui tutta Novembre non fa che parlare da giorni. Si sa, lì ci finiscono solo gli assassini, e come un assassino la sua fervida immaginazione se lo figura: vecchio, cattivo, sporco, trasandato. Ma Andreas von Berger è l’esatto opposto di tutto ciò: bello, alto, fine, acculturato, elegante anche in manette. Neve non lo sa, ma è in quell’istante che la sua vita prenderà una piega inaspettata.
Lui l’aveva toccata nella testa, aveva acceso qualcosa, una piccola scia di luce dentro un abisso buio.
La prima stella della sera che accendeva pian piano tutte le altre.
E le stelle, si sa, guidano le navi e non si spengono.
Era un marchio da cui non si poteva tornare indietro.
Isola di Neve è il miglior romanzo di Valentina D’Urbano, senza se e senza ma. Ho amato tutti i suoi precedenti lavori, dal primo all’ultimo, e proprio per questo mi sento di affermarlo con assoluta certezza.
Neve è un personaggio straordinario: struggente, forte, malinconico, rassegnato, combattente. È tutto e il contrario di tutto. Neve è Novembre: inospitale con chi non lo merita, piena di spigoli e angoli frastagliati e taglienti, ma che racchiude con forza e disperazione, tra le sue braccia, coloro che non vuole lasciar andare via. È una ragazza con l’aspetto di una bambina e la tempra di una donna adulta: i suoi occhi sono antichi, sebbene il suo corpo sia acerbo. Si empatizza con lei, si piange per lei (lo si fa al posto suo, visto che lei non se lo concede quasi mai), ma non la si compatisce: no, Neve non lo permette. Si prende tutte le brutture della vita e le accetta come un qualcosa di inevitabile, ma si batte e si arrampica fino a scorticarsi le dita aggrappandosi a ciò che vuole. Diciassette anni in equilibrio precario, seguiti da un equilibrio nuovo e agognato, che si esplica alla fine in un equilibrio forzato ma dignitoso.
Se ami davvero qualcosa, la ami a tal punto da dedicargli tutto te stesso. Dolore compreso.
A SPASSO CON...
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